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Abbas I il Grande: l'età d'oro della Persia Safavide

Isfahan non sarebbe la meravigliosa città che conosciamo, se non fosse esistito lui: Abbas I, detto “il Grande”.



Quinto e più potente Shah della dinastia dei Safavidi, governò la Persia per ben 42 anni. Il suo soprannome, Il Grande, ci dice che il suo regno fu uno dei periodi di maggior potenza e ricchezza della Persia. Abbas sale sul trono nel 1587 e governa fino alla sua morte, nel 1629.


I SAFAVIDI

I Safavidi, dinastia musulmana di lingua e cultura turco-azera, sono al potere dal 1501 (e lo cederanno solo nel 1736). Hanno unificato il paese, creando di fatto la coscienza nazionale iraniana, ed hanno imposto lo sciismo duodecimano come religione di stato, in opposizione al sunnismo ottomano. La loro dinastia si pone in continuità con le dominazioni mongola e timuride, di cui all’inizio mantiene le strutture amministrative (e la storiografia safavide tenterà di accertare un parallelo tra Tamerlano e Abbas, presentandolo come una figura di ispirazione divina).


PRIMA DI ABBAS

Quando Abbas nasce, nel 1557, la Persia è però in una fase di declino e pericolo, accerchiata da un lato dalla crescita dell’Impero Ottomano e sunnita, dall’altro dalle scorrerie degli Uzbeki.

La Persia, governata a quel tempo dal nonno Ṭahmāsp I, secondo della dinastia dei Safavidi, è ancora in realtà una federazione di piccoli regni tribali, ognuno con un capotribù che trattiene la totalità delle tasse e ha un esercito personale che mette al servizio dello Shah (o, al momento opportuno, usa per rovesciarlo).

Lo Scià successivo, Esmail II, è ben cosciente della precarietà del suo potere, e come tutti i sovrani di quel tempo (soprattutto Ottomani) usa una strategia preventiva: fa uccidere o accecare ben nove dei suoi parenti, e per lo stesso Abbas, quando ha solo sei anni, parte un ordine di omicidio, insieme a quello per il padre. (Per la sua crudeltà, questo scià è stato comparato al contemporaneo zar Ivan IV il Terribile). ʿAlī-qolī Khan Šāmlū, il Governatore di Herat, dove il piccolo risiede, ritarda per pietà l’esecuzione dell’ordine: dopo poco, la morte prematura dello stesso Esmail (forse per avvelenamento) salva la vita dei due futuri Shah.

A Esmail succede il padre di Abbas, Moḥammad Ḵodā-banda: un uomo schivo, ingenuo, con problemi di vista, completamente dominato dalla moglie Mahd-e ʿOlyā (che infatti verrà uccisa in quanto detentrice del vero potere, e accusata di favorire le tribù tajike di cui è originaria) e sotto stretto controllo da parte da una giunta di capi delle tribù più potenti del regno (Torkmān e Takkalū Qezelbāš.)

Un tentativo di ribellione da parte di altre tribù Qezelbāš viene avviato nel nome di Abbas nel 1581, quando il principe ha solo 10 anni, ma viene represso dall’esercito reale, quando il tutore di Abbas, ʿAlī-qolī Khan Šāmlū, si schiera con lo scià regnante.

I tentativi di sovvertire Mohammad sono molti, negli anni a venire, con la costruzione di alleanze temporanee da parte dei capi tribù più potenti, che intendono portare al trono i diversi figli dello Shah (ovviamente allo scopo di tenerli in pugno).


ABBAS SALE AL TRONO

Nel 1587, l’invasione del Khorasan da parte degli Uzbeki fa rompere gli indugi: il più potente dei capi Qezelbāš, Moršed-qolī Khan Ostāǰlū, avanza su Qazvin e, grazie anche a una sollevazione popolare, costringe Mohammad ad abdicare a favore del figlio Abbas, che in cambio lo nomina vice della corte.

Abbas sale dunque al trono all’età di 17 anni. Durante la sua adolescenza, Shah'Abbās ha visto come gli avversari rivali delle tribù Qezelbāš avevano usato lui e i suoi tre fratelli come semplici pedine per favorire le loro stesse ambizioni. Non nutre quindi nessuna illusione sulla loro spietatezza. Li ha visti uccidere il suo primo tutore, lasciandolo indifeso all'età di sei anni; li ha visti uccidere sua madre nel 1579 e il visir Mīrzā Salmān, a Ḡūrīān nel 1583, quando quest’ultimo sfidò il loro potere. Il fatto che in questa occasione lo scià e il possibile erede, il padre di'Abbās e suo fratello Ḥamza Mīrzā, non abbiano potuto proteggere il visir dalla vendetta dei Qezelbāš, ha lasciato un'impressione indelebile sul principe.




L’ESERCITO PERSONALE DELLO SCIA’: I GOLAMS

Dal momento della sua salita al trono, Shah'Abbās si rende conto di avere solo due alternative: imporre la sua autorità sui Qezelbāš, o rimanere in loro potere. Ma i Qezelbāš sono la spina dorsale della forza militare dello stato safavide; se li indebolisce, mina il suo stesso stato. Non può permettersi questo lusso, in un periodo in cui gli Ottomani sono in possesso di vaste aree del territorio persiano nelle aree nordoccidentali, conquistate durante il regno dei suoi due predecessori.

La soluzione consiste nel formare un nuovo esercito permanente e fedele composto da reclute provenienti dai ranghi del ḡolāmān-e ḵāṣṣa-ye šarīfa (servi della corona). [1] Si tratta di cristiani georgiani, armeni e circassi che erano stati fatti prigionieri durante le campagne safavide nel Caucaso - anche se un piccolo numero di nobili georgiani si erano arruolati volontariamente nell'armata safavide-, convertiti all'Islam e addestrati per il servizio nella famiglia reale o l'amministrazione.

I ḡolāms giurano lealtà direttamente allo scià, senza intermediazione di una tribù, e di conseguenza costituiscono un valido sostegno allo scià nelle sue dispute con i Qezelbāš.

Nel breve periodo, la creazione del corpo di ḡolām è la soluzione al problema di Shah'Abbās; ma a lungo termine, diventa una fonte di debolezza per lo stato, perché i guerrieri ḡolāms, nonostante gli sforzi, non possiederanno mai le qualità di combattimento dei Qezelbāš.


LA RIORGANIZZAZIONE DELLO STATO

La creazione di un esercito permanente dà origine anche a un problema finanziario. Le forze tribali vecchio stile erano reclutate dai loro capi tribù, che erano allo stesso tempo governatori provinciali e autorizzati ad usare le entrate provinciali per sostenere il costo di equipaggiamento e di montaggio del numero richiesto di uomini. Solo una piccola parte delle tasse riscosse nelle province confluiva nel tesoro reale. Ancora una volta, Shah'Abbās trova una soluzione efficace nel breve termine, ma che nel lungo termine costituisce una delle principali cause del declino della dinastia Safavide. Per fornire i fondi necessari per il nuovo corpo, lo shah aumenta il numero di province convertite dal mamālek ("stato") alle terre ḵāṣṣa ("corona"); in queste, nomina gli intendenti che raccolgono le tasse e le rimettono direttamente al tesoro reale. Questa politica, estesa dai suoi successori, sconvolge l'equilibrio creato inizialmente tra le truppe Qezelbāš e i ḡolāms, e in tal modo indebolisce seriamente la forza militare del regno.

L'introduzione dei ḡolāms come terza forza consente allo scià di manovrare tra gli elementi rivali di Qezelbāš e Tāǰīk (persiani) nello stato, e porta a una considerevole riorganizzazione del sistema amministrativo safavide. Alla fine del regno di Shah'Abbās I, i ḡolāms occupano circa un quinto dei ruoli amministrativi più importanti, e questa proporzione cresce ancora sotto i suoi successori. [2]

Altri cambiamenti importanti nell’organizzazione dello Stato sotto Shah'Abbās derivarono sia dalla accresciuta centralizzazione dell'amministrazione, sia da una maggiore separazione delle istituzioni religiose e politiche. Ad esempio, fu aumentato lo status del visir (vazīr), il capo della burocrazia e il principale portavoce degli elementi persiani nell'amministrazione centrale. Al contrario, il titolo “vakīl”, di fatto il ruolo di alter ego dello scià, fu lasciato cadere dopo l'assassinio di Moršed-qolī Khan Ostāǰlū.


IL CONFLITTO CON I SUFI

Dall'inizio dello stato dei Safavidi nel 1501, il problema di come incorporare nell'amministrazione dello stato l'organizzazione sufi dell'ordine safavide, di cui lo scià era anche il moršed-e kāmel ("perfetto direttore spirituale"), era molto sentito. All’inizio della dinastia, tale era il prestigio dello ḵalīfat al-ḵolafā, il capo dell'organizzazione sufi, che il titolare dell'ufficio di volta in volta sfidava l'autorità dello scià, con richieste che lo scià soddisfaceva richiedendo al contempo un giuramento di lealtà. All'inizio del regno di Shah'Abbās I (1589-90), i Sufi fecero la loro ultima seria sfida all'autorità dello scià e furono schiacciati. Da quel momento in poi, Shah'Abbās ne ridusse il peso ignorandoli e trattandoli con disprezzo.

Le riforme amministrative di Shah'Abbās danno allo stato Safavide nuova forza e vigore. Il successo della sua stabilità deriva dal delicato equilibrio che manteneva tra i vari popoli nel sistema - turchi, persiani e caucasici. Sebbene i suoi successori non riusciranno a mantenere questo equilibrio, Shah'Abbās pone l'amministrazione su una base così solida che i suoi meccanismi continuarono a funzionare, in gran parte sotto il suo stesso impulso, per quasi un secolo dopo la sua morte.


LA RICONQUISTA: LA SFIDA A UZBEKI E OTTOMANI

In poco tempo dopo la sua ascesa al trono, Shah'Abbās aveva dimostrato la sua determinazione a governare “de facto e de jure”, ma era necessario del tempo per costruire l'esercito in modo sufficiente da poter prendere l'offensiva contro gli acerrimi nemici dello stato safavide, gli uzbeki a est e gli ottomani a ovest. A est, i Safavidi subirono sconfitta dopo sconfitta, perdendo sia Mašhad che Kandahār (conquistata dai Mughal, indiani, nel 1591). Nel 1598 morì il capace leader uzbeko 'Abdallāh Khan, e la dinastia fu indebolita dalla contesa interna. Shah'Abbās prende allora l'iniziativa, sbaraglia gli uzbeki a Moḥarram, (1598), e riconquista Herat, che era stata in mani nemiche per dieci anni. Fino al 1605-06 Shah'Abbās non si sente abbastanza forte per giungere allo scontro finale con gli Ottomani, ma poi il successo è rapido. Dopo una grande vittoria a Ṣūfīān vicino a Tabrīz, procede con le successive campagne fino ad espellere l'ultimo soldato ottomano dal territorio; la pace con gli Ottomani viene firmata a Sarāb nel 1618 . Nella battaglia di Ṣūfīān, Shah'Abbās si rivela un generale di abilità consumata, con un attento utilizzo delle sue forze, inferiori a quelle degli ottomani in numero e potenza di fuoco, mettendo abilmente in campo le sue riserve nel momento critico.




DA QAZVIN A ISFAHAN: LA NUOVA CAPITALE

Dopo la sua vittoria contro gli uzbeki nel 1598, Shah'Abbs trasferisce la sua capitale da Qazvīn a Isfahan, che trasforma in una delle città più belle del mondo. Da sud, ci si avvicina alla città tramite una nuova grande strada che attraversa i giardini e le tenute conosciute come Hazār-ǰarīb, dove molti nobili hanno le loro residenze. Dopo aver attraversato lo Zāyanda-rūd dal ponte Allāhverdī Khan, si procede lungo il magnifico viale alberato, il Čahār Bāḡ, fino al Maydān-e Shah, l'enorme piazza rettangolare su cui si affacciano il palazzo'Alī Qāpū e due dei più grandi capolavori della architettura persiana, Masǰed-e Shaikh Loṭfallāh (iniziata nel 1603) e Masǰed-e Shah (iniziata nel 1611).Questa splendida città è frequentata da ambasciatori europei, da mercanti in cerca di privilegi commerciali, da frati cattolici che chiedono il permesso di aprire conventi e portare avanti l'attività missionaria, da gentiluomini-avventurieri come i fratelli Sherley (uno dei quali, Sir Robert, si distinse come consigliere dello scià contro gli ottomani) e da viaggiatori come Pietro della Valle, che lasciano preziosi resoconti dell’ Iran safavide.

La passione per la architettura di Shah'Abbās è dimostrata non solo dalla trasformazione di Isfahan e da progetti importanti come la restaurazione del santuario dell'Imam Reżā a Mašhad, ma anche dall'innalzamento di una moltitudine di infrastrutture in tutto il paese: caravanserragli, cisterne , stabilimenti balneari, ponti, strade, ospedali, scuole e altre opere pubbliche. La sua predilezione per Māzandarān, dove trascorse la maggior parte degli inverni con la sua maggiore età, lo portò a costruire palazzi ad Ašraf e Faraḥābād, e la celebre strada rialzata lungo la costa. Il suo concetto più grandioso, tuttavia, fu indubbiamente il suo piano per tagliare uno sperone delle montagne di Zagros per collegare le sorgenti dei fiumi Kūhrang e Zāyanda-rūd , e per deviare alcune delle acque del primo a beneficio della città di Isfahan. Il progetto fallì a causa dell'inadeguatezza dei mezzi disponibili all'epoca, ma è stato considerato talmente valido che è stato messo in atto negli ultimi anni, dopo aver verificato che i calcoli degli ingegneri di Shah'Abbās era errati solo di poco.


ABBAS E LO SCIISMO

Shah'Abbās fa di tutto anche per dimostrare la sua devozione per gli Imam e per il culto dei santi shaik dell’ordine safavide (ad Ardabil, città di origine della dinastia): si reca a omaggiarli prima di una spedizione militare o di una decisione importante. Sostiene con generose donazioni il santuario dell'Imam Reżā a Mašhad e, ogni volta che si trova a Khorasan, manifestava la sua devozione per il luogo. Nel 1601, compie il pellegrinaggio a piedi da Isfahan a Mašhad in ventotto giorni. Tali azioni rafforzano la pretesa che gli scià Safavidi siano i rappresentanti sulla terra dell'Imam Nascosto. Ma poiché Shah'Abbās era in ogni cosa un pragmatico, lo sviluppo di Mašhad come centro principale del pellegrinaggio sciita ha in realtà lo scopo di far rimanere in mani persiane le ingenti somme di denaro che altrimenti sarebbero state spese negli altri principali centri di pellegrinaggio sciita, Karbalā, Naǰaf, e Kāẓemayn, che per lungo tempo del suo regno restarono nelle mani degli ottomani. Un ulteriore vantaggio di questa politica è il fatto che il clero sciita (moǰtahed), che riceve benefici tangibili sotto forma di awqāf (dotazioni), restauro di santuari, e status e prestigio potenziati, accetta senza troppe proteste il fatto che gli sciiti safavidi usurpino il ruolo di rappresentanza terrena del dodicesimo Imam nascosto.


LA FIORITURA DELLE ARTI

Il regno di Shah'Abbās segna il punto più alto nella straordinaria fioritura delle arti classiche persiane avvenuta durante la dinastia Safavide. Sotto il suo patrocinio, la tessitura dei tappeti raggiunge l’apice della perfezione. Anche se la tessitura dei tappeti era una antica tradizione persiana, è probabilmente durante il suo regno che fu costruita a Isfahan la prima vera fabbrica di tappeti. Altrettanto eccezionali sono i tessuti: Isfahan, così come Yazd, Kāšān e Rašt, divennero grandi centri di tessitura. Gli artigiani Safavidi eccellono nella produzione di tessuti di complicata fattura, dai colori brillanti e dal disegno intricato, i cui prodotti finiti destano l'ammirazione dei viaggiatori che visitavano la corte. Particolarmente rinomate diventano le sete persiane (damaschi e broccati): Shah'Abbās fa della fabbricazione e della vendita della seta un monopolio reale. Nelle "arti del libro" (la calligrafia, la legatoria) le produzioni del periodo di'Abbās I non hanno eguali. La ceramica safavide rivaleggia con la ceramica cinese nei mercati europei. Le piastrelle di vetro policromo e mosaico che adornano moschee, madrasa (scuole religiose), emāmzādas (santuari dei discendenti degli imam) e altri santuari in tutta la terra raggiungono la perfezione in capolavori come la moschea Shaikh Loṭfallāh.


ISFAHAN, “LA META’ DEL MONDO”

Sotto Shah'Abbās, Isfahan diventa una città prospera. In effetti, il mecenatismo delle arti dello scià è ispirato non solo da considerazioni estetiche ma anche da motivi strettamente commerciali. Commercianti provenienti da Cina, India, Asia centrale, Arabia, Turchia e Europa accorrono nella sua capitale per acquistare gli oggetti di lusso prodotti dagli artigiani Safavidi. Migliaia di abili artigiani armeni vengono trasferiti da Jolfā, in Azerbaijan, a "Nuova Jolfā", un sobborgo di Isfahan sulla riva destra dello Zāyanda-rūd. Il Qayṣarīya o “Royal Bazaar” si estende per ettari, dal suo ingresso all'estremità nord del Maydan-e Shah. Era dallo sviluppo di Baghdad nel 8 ° secolo d.C. , voluto dal califfo Manṣūr, che non si vedeva un esempio così completo di pianificazione urbanistica nel mondo islamico, e la struttura del centro città riflette chiaramente il suo status imperiale. Sempre realista, Shah'Abbās dedica le sue energie allo sviluppo di quelle arti e mestieri che portano ricchezza allo stato, e il suo conseguente abbandono del mecenatismo verso i poeti spinge molti di essi a cercare nuovi benefattori in India, alla corte degli imperatori Mughal.

L'impero safavide, insieme agli imperi ottomano e moghul, può essere considerato il punto più alto della civiltà islamica medievale prima che la superiorità tecnologica dell'Occidente inauguri l'epoca dell'imperialismo occidentale e il dominio di gran parte del mondo islamico. Shah'Abbās e i suoi contemporanei Süleymān il Magnifico e l'imperatore Akbar, conducono relazioni diplomatiche e commerciali con l'Occidente sulla base di una parità di stima. Nel Golfo Persico, Shah'Abbās è in grado di sfruttare a proprio vantaggio la rivalità tra portoghesi, inglesi e olandesi per il dominio del redditizio commercio delle Indie orientali; un esempio notevole è la sua alleanza con gli inglesi della Compagnia delle Indie nel 1622 per espellere i portoghesi dall'isola di Hormoz.


Nuova Jolfa, Isfahan


ABBAS IL CONDOTTIERO

Shah'Abbās possiede qualità che gli meritano il titolo di "Grande". E’ un pragmatico in tutte gli aspetti del governo, che si riferiscano alla religione o alla politica, al commercio e al commercio, o alle questioni civili o militari. A differenza del suo antenato Shah Ṭahmāsp, non permise mai al bigottismo religioso di interferire con il commercio.

E’ un brillante stratega e comandante sul campo, e la sua caratteristica principale è la prudenza.



Sebbene sia personalmente un uomo coraggioso, non guiderebbe mai la sua cavalleria in un attacco sconsiderato contro i cannoni ottomani, come fece il suo più focoso zio Esmā'īl I andando incontro alla debacle di Čālderān (1514). Shah'Abbās preferisce raggiungere i suoi scopi con la diplomazia piuttosto che con la guerra, disponibile ad aspettare anni per raggiungere i suoi obiettivi.

E’ famoso per le sue marce forzate con piccoli corpi di truppe, in un modo che ricorda Giulio Cesare, una tattica che in molte occasioni gli dà il vantaggio della sorpresa. La sua autorità come comandante gli permette di guidare i suoi uomini ai limiti della loro resistenza, soprattutto durante le campagne invernali.

La sua abilità nel mantenere il suo esercito sul campo nella stagione fredda è un'altra ragione dei suoi successi contro gli ottomani, i cui giannizzeri costrinsero regolarmente i loro comandanti a ritirarsi nei quartieri invernali l'8 novembre di ogni anno. Il dispiegamento di forze (di solito numericamente inferiori) è degno dei grandi comandanti della storia; e il suo eccellente servizio di intelligence, che opera fino a Istanbul, gli fornisce informazioni vitali e spesso decisive riguardo alle dimensioni e alla composizione delle forze ottomane.

Due caratteristiche degne di nota dello scià sono il disprezzo per la sua sicurezza personale e per la preoccupazione per la vita dei suoi uomini. I suoi emiri hanno l'ordine di fornire i dettagli di particolari atti di eroismo in azione, in modo che gli uomini interessati possano essere adeguatamente ricompensati.

Shah'Abbās è famoso per la severità della sua giustizia, ed implacabile nella punizione di ufficiali sleali. D'altra parte, il suo affetto per i vecchi e fedeli sostenitori è forte e duraturo. Agli uomini di cui si fida,'Abbās è pronto a delegare ampi poteri. La sua informalità e la sua antipatia per le eccessive cerimonie sono note.

E’ amato dal suo popolo, per la sua umanità, e sia fonti persiane che occidentali descrivono la sua pratica di visitare le strade di Isfahan in incognito e di conversare con le persone nelle case da tè. Tali tattiche lo hanno aiutato ad apprendere molte informazioni utili che cortigiani e funzionari avrebbero altrimenti potuto sottrargli.




IL SOSPETTO E LA FINE

Le esperienze giovanili di Shah'Abbās hanno purtroppo creato in lui la paura che qualche rivale ambizioso possa usare i propri figli contro di lui, proprio come lui e i suoi fratelli erano stati usati contro il loro padre. Di conseguenza, dopo un certo numero di rivolte e complotti per conto dei suoi figli, cessa di seguire la tradizionale pratica safavide di nominare i suoi figli nei governatorati provinciali, con ciascun principe alle cure di un Qezelbāš che fungeva da suo tutore ed era responsabile per il suo benessere fisico e morale.

Invece, confina i suoi figli nell'harem, dove sono allevati dalle donne della famiglia reale e dagli eunuchi. Questo sistema crea una serie di problemi: dà origine a intrighi di harem che superano di gran lunga i problemi che avrebbe potuto creare la rivolta di un governatore provinciale; nega ai Principi reali l'opportunità di acquisire esperienza di governo e amministrazione, con il risultato che, quando vennero chiamati al trono, si dimostrarono incompetenti; e causa deterioramento psicologico e degenerazione fisica del patrimonio reale.

Questa scelta è stata indubbiamente una delle principali cause del declino dei Safavidi. A mano a mano che il suo ossessivo timore per l'assassinio aumenta,'Abbās mette a morte o acceca qualsiasi membro della sua famiglia che suscita il suo sospetto; fa giustiziare uno dei suoi figli e accecarne altri due. Poiché altri due figli lo avevano preceduto nella morte, il risultato è una tragedia personale per Shah'Abbās; quando muore il 19 gennaio 1629, non ha un figlio capace di succedergli.


Il lento declino della dinastia Safavide divien quindi inevitabile, e si conclude simbolicamente con l’invasione di Isfahan da parte degli Afgani nel 1722.


[1] I ḡolāms ("giovani, servi, schiavi") erano cristiani georgiani, armeni e circassi che erano stati fatti prigionieri durante le campagne safavide nel Caucaso - anche se un piccolo numero di nobili georgiani si erano arruolati volontariamente nell'armata safavide-, convertiti all'Islam e addestrati per il servizio nella famiglia reale o l'amministrazione. Se si esclude il fatto che i ḡolāms non erano reclutati in modo regolare, erano per molti versi analoghi ai giannizzeri (qapi-qollari) ottomani.

[2]I nuovi ruoli riflettono la crescente importanza degli ḡolāms. Il “qollar-āqāsī” (comandante dei reggimenti di qollar o ḡolāms) e “tofanġčī-āqāsī” (comandante del reggimento di moschettieri), sono classificati tra i sei principali ufficiali di Stato. Come conseguenza, l'ufficio di “amīr-al-omarā”, o comandante in capo delle forze tribali di Qezelbāš (e, implicitamente, di tutte le forze armate safavide), cade in declino. Al posto di questo ruolo, Shah'Abbās crea il ruolo di “sardār-e laškar”, o comandante in capo dell'esercito. Più tardi, Shah'Abbās riesumò l'antico titolo iraniano “sepahsālār” per denotare l'ufficio di comandante in capo delle forze armate; ancora una volta, in quel ruolo fu nominato un ḡolām (l'armeno Qaṛčaqāy Khan). Con questa politica, Shah'Abbās riuscì a saldare le forze armate ancora una volta in un corpo coeso ed evitò il dissenso che sarebbe risultato inevitabilmente dalla nomina di un turco o di un persiano all'ufficio di comandante supremo.



Fonti (testi e foto):

http://www.iranicaonline.org/articles/abbas-i

http://www.iranicaonline.org/articles/safavids

https://en.wikipedia.org/wiki/Abbas_the_Great

https://itacultura.forumfree.it/?t=30366216

http://www.treccani.it/enciclopedia/abbas-i-il-grande-re-di-persia_(Enciclopedia-Italiana)/

http://www.treccani.it/enciclopedia/safavidi/

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