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Doshan Tapeh: la collina della lepre

Vita Sackville-West (1892-1962), fu una scrittrice, poetessa e botanica inglese di cui è nota la burrascosa relazione sentimentale con Virgina Woolf: scrisse molti libri e creò giardini memorabili, come quello del Castello di Sissinghurst, ancora oggi il più visitato d’Inghilterra.



Ma Vita fu anche una grande viaggiatrice.


Di lei ci interessa, in questo caso, il resoconto dei suoi viaggi in Persia, svolti tra il 1926 ed il 1927, su cui scrisse due libri (in italiano, furono raccolti nel libro "Vita Sackville-West: Il più personale dei piaceri – Diari di viaggio Persia 1926-1927").

Personaggio inevitabilmente snob, a volte sprezzante nel giudizio sui Persiani, ci ha però lasciato una serie di notazioni acute e curiose su come fosse il paese circa un secolo fa, e soprattutto la descrizione di luoghi e sensazioni ormai scomparsi.

I suoi diari, dalla scrittura deliziosa ed evocativa, anche se a volte un po’ irritante, sono una autentica miniera di notazioni e aneddoti.


Iniziamo a "saccheggiarli" partendo dalla sua descrizione di un luogo scomparso di Teheran: Doshan Tapeh.

(Il toponimo, in realtà, esiste ancora nella capitale iraniana: sulla stessa collina descritta dalla nostra autrice, sorge un ex-aereoporto militare con lo stesso nome, ora chiuso ma ancora sede dei servizi di intelligence iraniani, che ospitò le Forze Aeree Imperiali dell’Iran ai tempi della dinastia Pahlevi, ed ebbe un ruolo importante nella Rivoluzione. Ma di questo parleremo subito dopo.)

Nell’Ottocento, Doshan Tapeh era il nome di una delle 12 porte di ingresso alla città ancora presenti dall’antica Teheran, come si vede da questa foto:



Ma Doshan Tape, alla fine del XIX secolo, è anche il nome del luogo elevato di Teheran su cui lo Shah Nasr-ed-Din fa sorgere  una sorta di palazzo-fortezza.




Nel 1926, Vita Sackville-West, che si è stabilita nella capitale per qualche tempo, si inerpica sulla collina e ce lo descrive.


"C'é un altro palazzo abbandonato, di tutt'altro aspetto, che frequento. É su una collina che sorge improvvisa e svettante sulla pianura, una collina di piccole dimensioni, la cui sommità é interamente occupata da edifici in rovina, simili in Iontananza a una Carcassonne in miniatura. 

É Doshan Tapeh — la collina della lepre. Ha anche il colore della lepre: rocce giallo-marrone chiaro, intonaco giallo-marrone chiaro, che al tramonto diventano rosa. 

Non e un luogo appartato. Il palazzo ovviamente ha il suo giardino, ma si trova ai piedi della collina, completamente separato: un quadrato circondato da mura, con alberi piantati simmetricamente, dove lo scià Nasr-ed-Din teneva i suoi animali selvatici. Il palazzo vero e proprio, o meglio le sue rovine, si ergono dirupate sulla cima, nude ed esposte come le rocce delle montagne circostanti. 



Dalle arcate cadenti la vista é grandiosa. Verso nord, come una spina dorsale, si allunga I'intera catena dell' Elburz; a sud-est, i monti Djarjarud si dividono teatralmente, formando quella che viene chiamata la gola di Meshed, dove passa la strada maestra per Meshed e Samarcanda; verso sud e verso ovest, si estende la pianura aperta, limitata solo in lontananza dalle montagne, dietro Qazvin. Li sotto, nella pianura, c'è Teheran, talmente bassa e color fango da essere quasi invisibile, tranne che per i pennacchi di fumo che la fanno sembrare un accampamento nomade. Nessuna capitale ha mai avuto I'aria meno da capitale, anche qui in Persia, perché gli immensi spazi che la circondano la fanno sembrare piccola, mentre in realtà una città molto estesa, con bazar che vanno avanti per chilometri e chilometri, interrompendosi ogni tanto per trasformarsi in vicoli aperti tra muri di fango, che subito si rinfilano furtivamente sotto un nuovo cunicolo a volta, come animali che rientrino nella tana. 

Doshan Tapeh mostra ancora qualche traccia dei suoi passati splendori. Deve essere stato un piccolo padiglione, gaio e civettuolo, con quelle piastrelle luminose, le colonne, le arcate, le due terrazze cosi ariose ed elevate e tutt'intorno il cielo e le montagne immense. Ma purtroppo i soffitti delle stanze sono caduti a pezzi e giacciono in polverosi mucchi di intonaco e piastrelle sul pavimento. E ovunque la stessa storia. 

Il sentiero che porta al padiglione é talmente ripido e le curve talmente strette che certo nessun veicolo deve esserci mai salito. 

Un tempo questo era il casino di caccia preferito di Nasr-ed-Din, e lui dovette spesso salirvi a cavallo, con quei suoi famosi baffoni neri al vento, alla testa di una compagnia di cavalieri. Ora il pendio del colle é coperto di salvia e dei grandi fiori rosa della lavanda selvatica. Non ho ancora visto una lepre da queste parti, non troppo Iontano di qui ho invece incontrato un porcospino, sulle colline dietro il piccolo Kasr-i-Firouze, dove crescono i tulipani selvatici, quelli bianchi dall'ottimo profumo, e quelli gialli, completamente inodori, ma che hanno la stessa tonalitå di giallo del ranuncolo e una forma nitida che ricorda un calice gotico disegnato da qualche antico artigiano dotato di un perfetto senso della linea. I tulipani selvatici sono molto capricciosi: puoi camminare per chilometri e chilometri senza incontrarne I'ombra, poi, all'improvviso, ti imbatti in un declivio interamente disseminato di fiori, infiniti fiori che brillano al sole e oscillano sotto un fresco venticello. 

Non c'è nulla di più incantevole di questi giardini naturali rocciosi sulle colline, anche se, a dire il vero, si rimane un PO' delusi per la scarsa varietà delle specie floreali. Mancanza peraltro compensata in diversi modi, soprattutto dall'originalità con la quale i fiori si dispongono. A volte lo fanno nel modo usuale, all'aperto, sbocciando tra le pietre su anguste cornici, ed è già molto bello. Ma altre volte si nascondono nei crepacci o sotto la sporgenza di una roccia, e allora sono davvero incantevoli, irresistibili. Dopo poco  le loro abitudini ti diventano familiari, come le idiosincrasie degli amici: cosi ormai so che giù nel deserto troverò i piccoli papaveri, rossi e porpora, e i piccoli ranuncoli scarlatti — probabilmente se venissero trapiantati in un terreno più accogliente diventerebbero più grandi — e che quando comincerò a salire incontrerò i tulipani, amanti dei pendii — e a ragione! poiché, per contrasto, i declivi fanno meglio risaltare le loro linee rette di quanto non farebbe il piano. La prima a presentarsi è la locale Iris Persica, che cresce indifferentemente in alto o in basso: in genere si dispone a coppie, un fiore bianco verdino e uno bianco bluastro, a pochi metri di distanza, come due sposi; a volte invece se ne vedono famiglie di sei o otto, e altre volte ancora combinazioni triangolari, di tre.

Ovunque si trovano le scille gialle, dal profumo molto marcato. Le piante a cespuglio m'interessano meno, preferisco infatti i fiori piccoli e delicati — tutti i floricoltori, del resto, man mano che cresce il loro discernimento, propendono per il microscopico — ma anche i cespugli hanno il Ioro fascino, poiché hanno quasi tutti piacevoli tonalità di grigio e ottimi aromi. C'è una pianta cespugliosa con le spine, che in primavera si copre di fiori rosa palli- 

do o rosa ciliegia, che non sono riuscita a identificare. Un tipo mi disse che i persiani la chiamavano il «fiore della neve», ma dato che era uno che si sbagliava su tutto, sospetto che si sbagliasse anche 

su questo. Ad ogni modo e una pianta molto graziosa, forma un cespuglio rotondo, come una spugna di un rosa brillante, alta circa un metro; si trova sui terreni molto sassosi, indifferente alla presenza o meno di acqua. [...] Potrei difficilmente trarre maggiore godimento di quanto non faccia ora da queste perlustrazioni casuali, alla ricerca dei fiori della primavera persiana. Se la giornata non produce niente di nuovo, non importa, c'é sempre la speranza di trovare qualcosa dietro l'angolo o dall'altra parte della collina. Ad esempio, la vallata dove scoprii per la prima volta i mandorli selvatici, con quella gola che scendeva dritta nel cuore delle montagne, tutta un fiore, fino ad una cascatella d'acqua, fu di per sé una ricompensa. Per cui si è invogliati ad andare avanti, a percorrere chilometri e chilometri di strada, come con le risme di carta, e c'è sempre un'altra collina  da salire, come c'è sempre un'altra frase da aggiungere, e non c'è motivo perché entrambi gli impulsi debbano finire, finché c'è ancora qualcosa da scoprire, più avanti. Non so bene come abbia fatto ad allontanarmi cosi tanto da Doshan Tapeh, dove Nasr-ed-Din sta cavalcando su per il sentiero e dove solo le stanze più interne del palazzo sono rimaste più o meno intatte, mentre le finestre vuote si aprono sulle montagne a nord, e le pagine dell'«lllustrated London News» del 1860 tappezzano le pareti. 


Passano pochi decenni, e delle rovine del palazzo descritto da Vita non resta più traccia. Al suo posto, una base aerea che – durante la seconda guerra mondiale – viene usata dalla Royal Air Force britannica.

Base aerea che conserva ancora oggi il nome di Doshan Tapeh (il nome del luogo è anche trascritto come Doshan Tappeh o Doshan Tappah).


Oggi ospita il quartier generale delle Forze Aree Iraniane, il quartier generale di comando dei capi di stato maggiore della Guardia rivoluzionaria e il quartier generale dell'intelligence della Guardia rivoluzionaria.


A Doshan-Tappeh, ai tempi dell’ultimo Shah, si trovava il quartier generale della Forza Aerea Imperiale iraniana. Lo Scià Mohammad Reza Pahlavi ricevette in questa base la sua licenza di pilota dal generale Nakhdjevan, il più vecchio pilota dell'Iran a quel tempo, il 10 ottobre 1946.


Doshan Tappeh ha svolto un ruolo importante anche nell'ultimo periodo del regno di Shah Reza Pahlavi.

Una delle prime guarnigioni militari in rivolta contro lo Scià nel 1979 è stata infatti il Comando di addestramento presso la base aerea di Doshan Tappeh. Nonostante Khomeini – appena tornato dall’esilio - non avesse ancora invocato pubblicamente l’appoggio delle Forze Armate, l'8 febbraio gli aviatori in uniforme si recarono di fronte alla sua casa di Teheran e giurarono pubblicamente la loro fedeltà nei suoi confronti.

La sera di venerdì 9 febbraio 1979, la Guardia Reale d'élite dello Shah tentò di sopprimere un ammutinamento da parte dei tecnici e dei cadetti dell'aeronautica pro-Khomeini presso la base aerea.

Verso mezzanotte, il silenzio del coprifuoco fu rotto dalle grida di "Allah Akbar", mentre gli aviatori si appellavano alla popolazione nella zona circostante per aiutare a respingere l'invasione della Guardia Reale. I cadetti della base aerea erano stati avvisati dell'arrivo della Guardia e iniziarono a organizzare le difese. Mentre le grida di aiuto raggiungevano gli abitanti dell'area, migliaia di persone uscirono dalle loro case nonostante il coprifuoco. Il giorno dopo, l'intera città aveva iniziato a organizzarsi. I cadetti aprirono l'armeria e le armi furono saccheggiate dai mullah e dai loro sostenitori.

L'11 febbraio 1979, ventidue alti comandanti militari annunciarono che le forze armate sarebbero rimaste neutrali nello scontro tra lo Scià e il popolo.


Nel settembre 1980 la base di Doshan Tappeh fu attaccata nel contesto di un più ampio attacco iracheno che tentava di danneggiare seriamente l'Infrastruttura Aeronautica dell'Iran. Il danno fu minimo e l'aeronautica iraniana riuscì persino a far levare in volo gli aerei per rispondere all'attacco.


Il nome di Doshan Tappeh è tornato alla ribalta per l’ultima volta il 19 febbraio 2004, quando si diffuse la notizia che gli ispettori dell'AIEA avevano scoperto macchinari per l'arricchimento dell'uranio presso la base aerea, smentendo le affermazioni contrarie dell’Iran.


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