La misteriosa morte del "Campione del Mondo"
Aggiornamento: 30 gen 2021

“Anna ricordava bene quella domenica.
Il giorno dopo tutti tenevano in mano una copia dei quotidiani Ettela’at o Keyhan.
Ettela’at aveva intitolato così:
<Takhti: due mesi fa la decisione del suicidio>.
La gente era incredula. Era mai possibile che un uomo, non uno qualsiasi, ma un campione mondiale, se ne andasse in un hotel dopo un litigio con la moglie e qui, dopo qualche giorno, decidesse di togliersi la vita lasciando orfano il figlioletto appena nato?
Takhti non era tipo da uccidersi per un banale diverbio famigliare.
Takhti era un campione. Se avesse avuto problemi con la moglie, al massimo avrebbe divorziato. Si diceva che fosse molto religioso, e un vero credente non si suicida, per l’Islam è un peccato gravissimo. Non si sa chi fu il primo a gridare: “il nostro Takhti è stato ucciso!”, ma in men che non si dica tutti continuarono a ripeterlo all’unisono.
Takhti era già stato all’Hotel Atlantic per incontrare un gruppo di atleti venuti apposta dall’Europa per farsi allenare da lui. Poi Anna non lo aveva più visto fino al 7 gennaio, quando entrò nella camera ventitrè e lo trovò steso sotto le coperte, con il volto livido e gli occhi chiusi come se fosse addormentato da anni.
Al momento non capì che quel volto era privo di vita. Il mattino dopo, alle undici, Takhti non si era ancora fatto vedere per la colazione, né per prendere un te, niente. E la sua Mercedes era inspiegabilmente abbandonata fuori con le ruote sgonfie…”
Così, nel romanzo “Ritornerai a Isfahan” (1), lo scrittore Mostafa Ensafi rievoca la mattina in cui il “Campione del Mondo” (Jahān Pahlevān , come lo chiavama tutto il Paese) fu ritrovato morto nella sua camera di albergo, il 7 gennaio 1968.
Gholamreza Takhti, lottatore olimpico e medaglia d’oro a Melbourne nel 1956, non era certo il più forte campione iraniano della storia: ma era chiamato così per la sua correttezza e la sua sportività, che lo avevano reso il più popolare di tutti (ancora oggi, a oltre 50 anni dalla sua scomparsa, è considerato un eroe da molti iraniani).

Nato in un quartiere meridionale di Teheran nel 1930, iniziò a praticare la lotta fin da quando aveva quindici anni.
Nel 1948 fu “scoperto”, quando iniziò a lavorare come ferroviere, e iniziò ad allenarsi seriamente.
Divenne campione nazionale nel 1950, e nel 1951 vinse la sua prima medaglia d’argento ai Campionati Mondiali di Helsinki, bissando il secondo posto l’anno successivo.
Il culmine della carriera fu la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Melbourne nel 1956; vinse l’oro ai Mondiali a Teheran nel 1959, poi medaglia di argento sia ai Giochi Olimpici di Roma nel 1960 che ai Campionati Mondiali a Yokohama nel 1961. Alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 si classificò quarto.
Ma la sua fama, più che dai successi, venne dai suoi comportamenti.
Praticante anche di zurkaneh, la tradizionale arte difensiva iraniana, nei combattimenti praticava una sorta di etica “cavalleresca” che lo distingueva.
Durante un incontro con il lottatore russo Alexander Medved, scoprì che quest’ultimo aveva subito un infortunio al ginocchio destro. Takhti, nel combattimento, evitò di colpire la gamba ferita e cercò invece di attaccare l'altra. Per questa attenzione, perse il match.
Nel corso di un incontro a Mosca, sconfisse l'allora campione russo Anatoli Albul. Takhti, visto il dolore sul volto della madre di Albul, andò da lei e le disse: "Mi dispiace per il risultato, ma tuo figlio è un grande lottatore." Lei sorrise e lo baciò.
Takhti era noto per le sue opinioni contrarie al regime dello Shah Pahlavi. Era un sostenitore di Mossadegh, il primo ministro che privatizzò l’industria petrolifera e fu rovesciato dal famoso colpo di Stato del 1953.
Nel 1962, un catastrofico terremoto nell’Iran Occidentale uccise oltre 12.000 persone. Takhti fu profondamente toccato dalla tragedia. Poiché era una delle personalità più famose dell’Iran, chiese assistenza per le vittime girando di persona per le strade di Teheran.
E allora, cosa accadde davvero quella notte prima del 7 gennaio 1968, in quella stanza d’hotel a Teheran?
Il governo iraniano proclamò ufficialmente che la morte di Takhti era dovuta a un suicidio.
Alcune voci sostennero invece che il Campione fosse stato assassinato dalla SAVAK, la polizia segreta dello Shah, a causa delle sue posizioni ed attività politiche contro il regime Pahlavi, Poiché era un eroe nazionale, il suo funerale, organizzato da Hossein Towfigh, redattore capo della rivista Towfigh, attirò centinaia di migliaia di persone, che colsero l’occasione per manifestare contro il regime.
Dopo la Rivoluzione del 1979, Takhti fu usato come simbolo e icona della oppressione Pahlavi, e la tesi del suo omicidio fu data per scontata (anche se dagli archivi della SAVAK non sono uscite fonti che possano sostenerla). Ma ci sono in realtà elementi concreti che depongono a favore della tesi del suicidio, anche se difficilmente si avranno certezze su quanto accadde.
Takhti fu sepolto nel cimitero di Ibn Babawayh, a sud di Teheran, che ospita un gran numero di iraniani illustri, e dove viene commemorato ogni anno dai suoi fan.

Il regista ‘Ali Hatami ha progettato un film sulla storia di Takhti, dove esplora le diverse ipotesi sulla morte del Campione, ma l’opera è rimasta incompiuta per la morte del regista avvenuta nel 1996.
(1) Mostafa Ensafi: “Ritornerai a Isfahan”, 2016; edizione italiana Ponte33, 2018, traduzione di Giacomo Longhi
Fonti:
TAḴTI, Ḡolām-Reżā – Encyclopaedia Iranica (iranicaonline.org)