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Shahr-i naw, il quartiere a luci rosse di Teheran

Aggiornamento: 11 mag 2020

(Tradotto e adattato da un thread Twitter di Jairan Gahan @GahanJairan su @HistorianofIran)


Ecco una vista aerea di Shahr-i naw nel 1925: un luogo situato all'estremità sud-occidentale di Teheran, appena fuori dalle porte della città, popolato da lussureggianti giardini e caravanserragli. Il posto adatto per una vera vacanza estiva, per i cittadini benestanti di Teheran agli inizi del Millenovecento.


Perché un simile luogo ameno diventò il quartiere a luci rosse di Teheran? All'inizio del ventesimo secolo, la prostituzione era in piena espansione a Teheran. Il paesaggio urbano si stava trasformando, con la migrazione dalle campagne in città e la proliferazione di nuovi spazi di socialità come caffè, alberghi e negozi; e forte era la presenza di truppe russe – composte in buona parte da soldati cosacchi. I bordelli a Teheran esistevano già: si distinguevano dalle altre case attraverso lanterne appese all’ingresso. Ma dalla discrezione che di solito avvolge questo argomento, si passò ad un progressivo allarme: i giornali cittadini dell'epoca sono colmi di storie di rapimento di donne giunte dalle campagna e avviate alla prostituzione, di ragazze e donne dei ceti popolari ingannate e messe in trappola, e del comportamento sconsiderato dei soldati cosacchi in città, troppo spesso ubriachi e sempre pericolosi. Le prostitute, fino a fine Ottocento, erano presenti in tutta la città. Poi, si concentrarono organicamente in alcune aree principali, tra cui il vicolo di Qj'riyya, il quartiere degli arabi e soprattutto Shahr-i naw. Ma perché le prostitute scelgono di risiedere fuori dai cancelli della città? L’area si trova a due isolati a sud del Giardino del Re (Bagh-i shah). Lo sviluppo di Shahr-i naw è legato alla Rivoluzione Costituzionale (1905-1914) e alla trasformazione del Giardino del Re in un campo militare e in una prigione per i soldati cosacchi. A pochi passi da questo complesso, Shahr-i naw ha quindi cominciato a offrire beni e servizi di ogni tipo per le brigate cosacche. Nel frattempo nella città di Teheran, in pieno panico morale, viene lanciata una crociata contro le prostitute: numerose petizioni, che hanno un grande successo popolare, chiedono al neonato Parlamento di sfrattare dalla città "le donne che si comportano male". Si vuole difendere la “moralità pubblica”, impedire la diffusione di malattie veneree – che a quel tempo si pensavano trasmissibili attraverso l’acqua dei bagni pubblici- , rispettare la sensibilità islamica e impedire il calo del valore dei negozi.


Una delle petizioni del tempo contro la prostituzione a Teheran

Dopo un decennio di mobilitazione urbana, lo Stato cede. In una delle prime pratiche di “ricollocazione urbana”, nel 1921, il Ministero degli Affari Interni sposta forzosamente un certo numero di prostitute fuori dalla città. Negli anni successivi le terre verdi di Shahr-i naw si trasformano gradualmente nel Quartiere ufficiale a luci rosse di Teheran. La creazione di Shahr-i naw viene decisa senza una legge, con un atto al limite della legalità. Contemporaneamente, nel 1926, il Parlamento approva il Codice Penale, che rende reato sia la prostituzione che il suo sfruttamento. Quindi, il Quartiere viene creato in modo non ufficiale, e viene gestito per sessant'anni con decisioni “non ufficiali” delle istituzioni statali e cittadine. Il tema delle prostitute come vittime è al centro dei primi discorsi delle attiviste per i diritti delle donne in Iran, tra le quali va ricordata Mihrtaj Rakhshan, legata alla rivista Alam-i Niswan: influenzata dalla campagna abolizionista di Josephine Butler in Gran Bretagna, sostiene l'abolizione del Quartiere e l'istituzione di una "casa della speranza" per riabilitare le prostitute. La metà del XX secolo vede l'avvento di un impulso compassionevole e di una cultura della cura che evoca i principi islamici di giustizia ('adl), oppressione (zulm) e sofferenza ('az-b). Questo atteggiamento nei confronti delle donne del Quartiere è diventato più diffuso soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Nel frattempo la malattia venerea cessa di essere una minaccia nazionale urgente, dopo l'importazione di massa di penicillina da parte dell'Iran negli anni '40. Negli anni '40, man mano che Teheran si ingrandisce, ingloba sempre più il quartiere nel cuore della città. Negli anni '60, il Quartiere si espande in un'area di 13.500 metri quadrati, situata strategicamente accanto alla stazione centrale degli autobus e delle ferrovie, il cuore del trasporto urbano in Iran. Con 1200 lavoratrici residenti, 753 commercianti, 179 negozi, il Quartiere è una città nella città con i propri luoghi di intrattenimento, bar, ristoranti e teatri.



Shahr-i naw, a quei tempi, è compreso tra due strade principali (H'j 'Abdul Madul Mafàmà e Qav'm Daftar) attraversate da una trentina di strade secondarie.

I bordelli sono architettonicamente simili alle case storiche di Teheran, con un cortile centrale nel mezzo e diverse stanze che lo attorniano, con porte e finestre in legno, dipinte in blu o in verde. L’area di attesa è normalmente decorata con quadri alle pareti.





Le maitresse (chiamate Khan'm ra's, m'màn, dashtg'r ) camminano o siedono dietro una scrivania, con un sacchetto (di plastica o pelle) pieno di gettoni, legato alla vita. I clienti, una volta negoziati i termini e pagato il prezzo della prestazione, vengono accompagnati nella stanza della prostituta.

Le domestiche vivono normalmente nei sotterranei della casa.

Nel 1956, l’amministrazione cittadina isola il Quartiere con pareti di mattoni e due alte porte di ferro marrone, la più settentrionale della quali viene chiusa nel 1959, mentre il quartiere assume il nome di Ward.

I bordelli più costosi si trasferiscono allora in Qam Street, mentre H'j Mahmràd divenne la strada delle case più tristi e povere. Due soldati in attesa ai cancelli controllano gli accessi al Quartiere, impedendolo alle donne che non ci lavorano ed ai ragazzi minorenni. Le prostitute, per accedere, devono mostrare il loro permesso. In teoria, chiunque operi nel quartiere deve essere registrato, ma in realtà molti sono privi di documenti. Questa condizione di confine fa diventare ben presto il Quartiere il centro della criminalità organizzata di Teheran. Bande di criminali, che girano con le pistole in vista, controllano la prostituzione, le sale da gioco e da oppio, il traffico di droga.

Nel Quartiere ci sono due stazioni di polizia, da cui spesso partono irruzioni nei negozi di alcool e nelle bische e nei bordelli. Ma ovviamente i boss usano dei prestanome, che vanificano i controlli. I boss proteggono i bordelli, dietro compenso. E poco alla volta le relazioni dei poliziotti le prostitute ed i boss li rendono malleabili e corrotti, per cui lo Stato non ha più alcun controllo reale sul quartiere. La storia di Shahr-i naw finisce in modo molto simile a come inizia. Il 29 gennaio 1979, due giorni prima del ritorno dell'ayatollah Khomeini dall'esilio in Iran, i rivoluzionari marciano a sud di Teheran e danno fuoco simbolicamente a parte del Quartiere. Sia la polizia che i vigili del fuoco impediscono gli aiuti, permettendo agli aggressori di bruciare alcune delle case.


Il quartiere dato parzialmente alle fiamme nel 1979 dai sostenitori di Khomeini

Un ayatollah condanna l’atto, dicendo che le prostitute hanno bisogno di una guida, e non di violenza. Nonostante questo, nel luglio dello stesso anno, la corte rivoluzionaria condanna tre donne del Quartiere alla fucilazione. Nel marzo 1980, la neonata Repubblica Islamica chiude i cancelli del Quartiere. Il nuovo “Ufficio per Combattere ciò che è Proibito” ordina ai residenti di abbandonare i locali. Le donne che si rifiutano di abbandonare l’area sono portate via con i camion e le Autorità, pur con molti disaccordi interni, fanno demolire l’area. Cos'è successo alle donne? Le voci sono discordanti. Sono state costrette a matrimoni temporanei con le guardie rivoluzionarie o con i soldati; o consegnate ad una organizzazione di assistenza sociale, per una sorta di “rieducazione”; spostate in altre zone della città o del paese, o – come dicono alcune fonti – anche lapidate. Se lo Stato Pahlavi non ha mai mostrato tolleranza verso le prostitute – ma piuttosto indifferenza alla loro sorte, la Repubblica Islamica le tratta da un lato con una violenza fondamentalista, dall’altro propone una via di uscita abolizionista e di “redenzione”. La stessa distruzione del Quartiere ha lo scopo ufficiale ed umanitario di “salvare le donne” dal “tumore” della prostituzione. Le prostitute vengono fucilate, ma anche i responsabili della tratta ed i gestori dei bordelli vengono condannati a morte – come prevede il codice penale del 1926. Rispetto alla prostituzione, la posizione abolizionista di esponenti importanti della nuova Repubblica Islamica è simile a quella delle attiviste femminili iraniane degli anni Venti del Novecento. Paradossalmente, la violenza contro le donne a Shahr-i naw viene propagandata come “difesa dei diritti dell’essere umano”, per la cui assenza l’Iran è regolarmente sotto accusa nello scenario mediatico globale.

E dopo la Rivoluzione, cosa accade a quella zona?

In realtà, già dagli anni ’50 era stato proposto un piano per la demolizione dell’area e la sua riqualificazione, che fu persino approvato e finanziato, ma poi annullato dalle autorità pahlaviane. Il piano è stato poi realizzato negli anni Novanta del secolo scorso. Nel 1997, il comune di Teheran ha inaugurato, sui resti di Shahr-i naw, un complesso di intrattenimento-educativo che comprende una biblioteca, un centro culturale, un lago artificiale con un faro e un piccolo parco di divertimenti. Oggi, ciò che resta della storia dell'antico quartiere, sono solo i resti di un paio di case abbandonate all'estremità sud del parco, che non dicono nulla agli occhi dei passanti ignari. Il passato particolare di Shahr-i naw è stato rappresentato ovviamente nella cultura e nel cinema del paese, in alcuni film e romanzi. Memorabile è la serie di fotografie del Quartiere realizzate da Kaveh Golestan (reporter e figlio del regista Ebrahim) negli anni 1975-77, che rappresentano le terribili condizioni di vita delle prostitute, in case fatiscenti, con materassi logori, una rappresentazione di povertà e sofferenza che è rimasta nella memoria collettiva del paese.



Kaveh Golestan si è fatto conoscere per i suoi scatti su luoghi di sofferenza (prigioni femminili, ospedali psichiatrici), e per le sue (premiatissime) foto della Rivoluzione. Fu il primo a documentare con le proprie foto gli effetti dell’attacco con le armi chimiche attuato dall’Iraq di Saddam Hussein contro la città curda di Halabja, in Iran, durante la guerra Iran-Iraq.


Fonti:

Jairan Gahan @GahanJairan su @HistorianofIran (4-9 maggio 2020, Twitter)

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