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Il film iraniano "Botox" vince il 38° Torino Film Festival!

Il film iraniano “Botox”, del regista Kaveh Mazaheri, ha vinto la 38^ edizione del Torino Film Festival (2020).


E’ il primo lungometraggio di Mazaheri, un ingegnere che si è avvicinato al cinema da autodidatta e finora aveva prodotto alcuni cortometraggi.


La storia può essere letta su piani diversi.

I protagonisti sono una famiglia (due sorelle ed un fratello adulti) senza genitori: il loro legame familiare principale è con lo zio, proprietario della casa in cui vivono.




Siamo in inverno, nei pressi di Teheran.

Solo la sorella minore, Azar, lavora (in un centro estetico): Emad, il fratello, non lavora e si dedica ad imparare il tedesco con la speranza di emigrare un giorno in Germania. Akram, la sorella maggiore, è autistica: snobbata e spesso canzonata dal fratello, vive praticamente accudita dalla sorella minore.


Visto che le entrate di Azar non sono sufficienti, lei pensa di installare in casa (con l’aiuto di un “ingegnere” suo amante) una coltivazione di “funghi magici” allucinogeni, da vendere poi attraverso una rete di spacciatori. Emad non è d’accordo, ma Azar procede con il suo progetto a cui – per ragioni di spazio – destina la casa, spostandosi con Akram a vivere in un gelido magazzino adiacente.




I luoghi principali e simbolici in cui si svolge la vicenda sono tre: la casa di proprietà dello zio, appunto; il centro estetico dove lavora Azar, in cui le donne vengono per rifarsi il naso e iniettarsi botox per assomigliare il più possibile ad un modello di “donna occidentale”; e una palude di sale lungo la strada tra Teheran e Qom, Hoz-e-Soltan, nella quale ai tempi dello Shah – afferma Emad – venivano seppelliti i dissidenti del regime.





La narrazione assume una svolta in seguito ad un evento tragico di cui si rende responsabile Akram (che non vi raccontiamo, sennò sarebbe spoileraggio😊).


Da quel momento bugia e realtà si confondono. E nella mente di Akram cresce la confusione, che la porterà ad una serie di atti folli che, nel finale, dovrebbero servire a far ripartire la vita da dove si era spezzata, come se il tempo si potesse riavvolgere.




E’ un film particolare, che parla di una realtà desiderata in cui tutti i protagonisti vorrebbe essere pur di sfuggire a quella vera (e un simbolo di questo è la targa tedesca che Emad ha apposto sulla sua Peykan familiare verde, in aggiunta a quella iraniana).




E del disagio mentale, che forse non possiede solo Akram, ma in un certo senso tutta la società iraniana attuale, divisa in cuor suo tra una realtà insoddisfacente ed il desiderio di essere qualcos’altro- senza sapere bene cosa.

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