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Jiroft, una delle culle della civiltà?

Appaiono d’improvviso, nel 2001, sui mercati antiquari del mondo.


Sono spettacolari vasi con immagini di ambienti, di animali e di uomini. Oggetti di clorite, generalmente non più alti di 25 centimetri, finemente decorati e precisi, decorati con lapislazzuli e pietre preziose. Stupiscono per la loro bellezza e per il livello di dettaglio delle immagini che vi sono rappresentate.




I motivi si riferiscono all'ambiente naturale, inclusi il paesaggio, l'architettura e la vegetazione. Le piante – in particolare le palme, il cui frutto e il cui legno giocano un ruolo predominante per il cibo e le costruzioni - occupano uno spazio relativamente grande nel repertorio.

Gli ornamenti sono principalmente presi in prestito dal mondo animale, ma da soli animali selvatici: quelli che hanno corna, denti, artigli, becchi, artigli o zanne velenose. Quindi Includono zebre, stambecchi, leoni, ghepardi, aquile, rapaci, scorpioni e serpenti.



Ci sono anche figure umane: in questi casi il corpo è completamente frontale, la testa di profilo, le braccia metà allungate e sollevate; l’essere umano è senza barba, con lunghi capelli ricci che coprono la schiena ed è in piedi o seduto sui talloni.



Indossa un kilt corto stretto da una cintura. In presenza di un animale potenzialmente pericoloso (ad esempio, un ghepardo o un serpente), è adornato con bracciali, ha una collana che sostiene un pendente in turchese e indossa una fascia tempestata di molte pietre colorate.




Questi splendidi oggetti, dunque, iniziano a girare per il mondo all’inizio del XXI secolo.

Ma da dove arrivano?


Tutto ha inizio un anno prima, nel sud dell’Iran.

Nel gennaio 2000, nella zona desertica ma fertile della provincia di Kerman, a sud della città di Jiroft, il fiume Halil Roud esonda in seguito a una serie di piogge eccezionali, dopo anni di siccità.



L’acqua, al suo ruvido passaggio, erode il letto del fiume e porta alla luce una serie di necropoli di cui, in precedenza, si era sempre ignorata l’esistenza, con parte dei manufatti preziosi che vi sono contenuti.

Ha subito inizio un vero e proprio saccheggio popolare operato da gli abitanti della zona: in base ad uno sciagurato accordo con le autorità locali, ogni famiglia si “prende cura” di un quadrato di sei metri per lato in cui è libera di scavare e appropriarsi di tutto quello che trova: vasi, monili, corredi funerari comprendenti oggetti di uso quotidiano…

Nel giro di poco tempo, la notizia si diffonde e gli oggetti arrivano (venduti dai locali a degli intermediari) sul mercato internazionale, creando stupore per la bellezza e il valore degli stessi.

Solo nel febbraio 2001 il governo iraniano interviene per mettere fine alla razzia: con sequestri, arresti e la confisca di un numero indefinito di oggetti (da 500 a 100.000, secondo le fonti, su un totale stimato tra migliaia e “centinaia di migliaia”) in diverse città del paese, da Bandar Abbas a Teheran, e l’organizzazione di scavi regolari.

Ma il danno fatto dai saccheggi ormai è irreparabile: migliaia di scavi dissennati e l’asportazione di decine di migliaia di manufatti rendono impossibile ricostruire il contesto archeologico originario.



Da ottobre 2002, sotto la guida dell’archeologo iraniano Madjidzadeh, iniziano i lavori sistematici di esplorazione dell’area a sud di Jiroft lungo le rive del fiume Halil.

Si rinvengono ottanta siti, di cui tre importantissimi: Konar Sandal A, Konar Sandal B e la piccola fortezza di Qaleh Kucheck.

Nel 2003 iniziano le campagne di scavo, condotte anche in collaborazione con gli archeologi italiani delle Università di Roma e Milano.

Quello che si scopre sono le tracce di una civiltà antica di circa 5000 anni: una città con una fortezza dai muri a più livelli. Zone per il commercio, che era senza dubbio importante. E poi una ziggurat che forse è la più grande del mondo, con un’area di 400x400 metri, databile forse al 2300 a.C..


La ziggurat di Konar Sandal

Una civiltà presumerica? Forse la mitica città di Aratta, di cui si favoleggia nei resoconti trovati in Mesopotamia, a Uruk?

Difficile a dirsi, ma è altamente improbabile: sebbene l’archeologo Madjidzadeh sostenga in modo interessato questa tesi, non ci sono elementi certi per affermarlo.

Aratta è peraltro una città “mitica”, appunti, citata in alcune opere di epoca sumera; in assenza di dati certi sulla sua collocazione geografica, è facile pensare ad una invenzione letteraria e propagandistica dei Sumeri, una città “metaforica” che rappresenta il nemico da conquistare, in una terra ricca di risorse, per porre definitivamente fine ai problemi del presente.

Ha più possibilità, invece, l’identificazione di Jiroft con Marhaši. Il termine Marhaši è presente all’interno dei testi letterari, da solo oppure preceduto dal termine che sta per paese. Questo paese doveva essere localizzato nelle regioni a nord-est dell’Elam, collocazione che ancora una volta sembra avvicinarsi all’area dell’Halil Roud e quindi di Jiroft. Vari testi riferiscono la ricchezza del paese, soprattutto per quanto riguarda le pietre preziose, che venivano ampiamente esportate sia verso Dilmun, a Sud, lungo l’altra sponda del Golfo Persico, sia verso Sumer, e dunque verso Occidente.

Marhaši è quindi un’entità politica realmente esistita, anche se la sua precisa localizzazione è ancora dubbia. Sappiamo però dalle fonti che anch’essa era una terra ricca di metalli e pietre preziose, materiali che, come abbiamo visto, sono reperibili anche nell’area di Jiroft.

Sono ipotesi aperte, e forse la prosecuzione degli scavi potrà fornire in futuro risposte più precise.

Per ora, la cosa che possiamo fare è visitare quei luoghi, chiudendo gli occhi e facendoci rapire dal loro fascino; osservare quelle terra dall’altro della Ziggurat, e immaginare quale vita le animasse 5000 anni fa.

E visitare il piccolo ma delizioso Museo Archeologico di Jiroft, che contiene pochi reperti sottratti al saccheggio indiscriminato: pochi, ma splendidi.


L'ingresso del Museo Archeologico di Jiroft



Fonti:


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